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LA RICERCA DELLA VERA FEDE - THE SEARCH OF TRUE FAITH

S. MESSA IN STREAMING Quarta domenica di Quaresima

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Kyrie

S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Christe, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.

Prefatio


V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
V. Sursum corda.
R. Habémus ad Dóminum.
V. Grátias agámus Dómino, Deo nostro.
R. Dignum et iustum est.

de Quadragesima
Vere dignum et iustum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine, sancte Pater, omnípotens ætérne Deus: Qui corporáli ieiúnio vítia cómprimis, mentem élevas, virtútem largíris et prǽmia: per Christum Dóminum nostrum. Per quem maiestátem tuam laudant Angeli, adórant Dominatiónes, tremunt Potestátes. Cæli cælorúmque Virtútes, ac beáta Séraphim, sócia exsultatióne concélebrant. Cum quibus et nostras voces, ut admítti iúbeas, deprecámur, súpplici confessióne dicéntes:

Sanctus, Sanctus, Sanctus Dóminus, Deus Sábaoth. Pleni sunt cæli et terra glória tua. Hosánna in excélsis. Benedíctus, qui venit in nómine Dómini. Hosánna in excélsis.

CANON

DEPOSITUM FIDEI:-Una cum fámulo tuo Papa nostro et Antístite (Episcopus) nostro Benedictus Decimus Sextus Bene díxit, fregit, dedítque discípulis suis, dicens: Accípite, et manducáte ex hoc omnes. HOC EST ENIM CORPUS MEUMAccípite, et bíbite ex eo omnes. HIC EST ENIM CALIX SANGUINIS MEI, NOVI ET ÆTERNI TESTAMENTI: MYSTERIUM FIDEI: QUI PRO VOBIS ET PRO MULTIS EFFUNDETUR IN REMISSIONEM PECCATORUM.

Ultima cena di Cristo dal vecchio Missale Romanum dell'anno 1924 — Foto Stock

COMMUNIO

Confíteor Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Ioánni Baptístæ, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sanctis, et tibi, pater: quia peccávi nimis cogitatióne, verbo et ópere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Ioánnem Baptístam, sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, et te, pater, oráre pro me ad Dóminum, Deum nostrum.

COMUNIONE SPIRITUALE

Signore Gesù, io credo che sei presente realmente nel Santissimo Sacramento dell’altare, in corpo, sangue, anima e divinita’. Ti amo sopra ogni cosa e Ti desidero nell’anima mia. Poiché ora non posso riceverti sacramentalmente, vieni almeno spiritualmente nel mio cuore. Come già venuto, io Ti abbraccio e mi unisco totalmente a Te. Non permettere che io mi separi mai più da Te. Cosi’ sia.

COMUNIONE SPIRITUALE … un mese per cambiare!!! | Pace del Cuore 2.0

Eterno Padre ti offriamo, tramite l’intercessione della Vergine Maria, il Corpo e il Sangue Preziosissimo di Gesù Cristo per il perdono dei nostri peccati, in suffragio dei nostri defunti, delle anime del Purgatorio e per i bisogni della Santa Chiesa.

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ARTICOLO DEL 2013 SULLA QUESTIONE DELLA MANCATA DIMISSIONE DAL ‘MUNUS’ DA PARTE DI BENEDETTO XVI

IL PRIMO ARTICOLO DI DENUNCIA: “La rinuncia di Benedetto XVI. Tra storia, diritto e coscienza“, di don stefano Violi

Dalla “Rivista Teologica di Lugano” XVIII, 2 / 2013. L’autore è sacerdote della diocesi di Modena e insegna diritto canonico nella Facoltà Teologica dell’Emilia Romagna e nella Facoltà di Teologia di Lugano



Introduzione



«Ben consapevole della gravità di questo atto, con piena libertà, dichiaro di rinunciare al ministero di Vescovo di Roma, Successore di San Pietro».

Con queste parole, che in pochi secondi hanno fatto il giro del mondo, Papa Benedetto XVI, l’11 febbraio del 2013 davanti ai Cardinali riuniti in Concistoro, dichiarava in latino la sua rinuncia. Il gesto, per quanto inaudito (1), appare in realtà in piena sintonia tanto con la storia della Chiesa e del suo ordinamento giuridico, quanto con la storia personale del Vescovo di Roma o Papa emerito (2).

Il nome stesso di Benedetto, scelto dal cardinal Joseph Ratzinger il 19 aprile del 2005 al momento della sua elezione al soglio di Pietro, già richiamava la rinuncia papale effettuata, secondo parte della storiografia, da Benedetto V (964) (3). Rinunciò al pontificato anche Benedetto IX (1045), almeno stando alla tradizione accolta e proposta da san Pier Damiani nel De abdicatione Episcopatus, opera scritta per legittimare la sua rinuncia alla dignità cardinalizia (4).

Dal punto di vista canonistico, l’istituto trovò la sua prima formulazione normativa nel Liber Sextus promulgato da Bonifacio VIII, al secolo Benedetto Caietani. A quella norma si richiama il can. 332 § 2 del CIC 1983, che riprende, con lievi modifiche, il canone 221 del Codice precedente, promulgato nel 1917 da Benedetto XV.

La formula con cui Benedetto XVI ha dichiarato la sua decisione, discostandosi dal dettato codiciale, introduce però un precedente giuridico innovativo nella storia della Chiesa, ultimo atto solenne di magistero. Nel presente saggio intendo fondare tale ipotesi di lavoro mediante alcune riflessioni storico-canonistiche sulla declaratio di Benedetto XVI.


1. Precedenti storici, dibattiti dottrinali e formulazioni normative


Come è noto, nei primi secoli della Chiesa la notizia delle rinunce del vescovo di Roma non trova conferma in una produzione documentaria tale da permettere uno studio critico-filologico approfondito. Esse venivano tendenzialmente assimiliate ad una rinuncia episcopale o alla depositio per apostasia (5).

I tre casi di rinuncia maggiormente recepiti dalla letteratura medievale dei “presunti papi” Clemente Romano, Ciriaco e Marcellino, pur apparendo oggi come inattendibili, tra il XII e il XV secolo furono usati come exempla, ovvero precedenti autorevoli per argomentare la liceità delle dimissioni papali.

Maggiore attendibilità storica paiono presentare le rinunce dei papi Ponziano (231-235), Cornelio (251-253) e Liberio (352-366) (6). Secondo la storiografia più recente la rinuncia di Ponziano, deportato in Sardegna e condannato ad metalla durante la persecuzione di Massimino il Trace, costituisce la prima rinuncia documentata nella Storia della Chiesa (7).

Per ulteriori testimonianze di rinuncia al pontificato bisognerà attendere il secolo XI. Dalla fine del IV secolo al X secolo le fonti danno notizia di rinunce all’episcopato vuoi a motivo dello zelum melioris vitae, vuoi a causa della malitia plebis (8). Chiedendo a papa Nicolò di accettare la sua rinuncia all’episcopato, Pier Damiani addurrà come causa principale la vecchiaia, età più consona alla quiete che alla fatica (9).

Merita particolare menzione il tentativo di rinuncia di Celestino III, ormai prossimo alla morte, avvenuto alla fine del 1197, cui i cardinali negarono il consenso.

Innocenzo III, suo successore, nel discorso sulla consacrazione del pontefice, invocando l’argomento dello spirituale coniugium tra sommo pontefice e Chiesa di Roma, dichiarò indissolubile tale legame se non a causa di morte; continuando la metafora nuziale, affermò illecito il divorzio tanto se compiuto volontariamente (renuntiatio), quanto se indotto involontariamente (depositio), ammissibile solo in caso di eresia (10).

La posizione espressa da Innocenzo III costituirà uno dei principali argomenti del dibattito relativo alla renuntiatio. Alla fine del XII secolo infatti prende avvio la riflessione canonistica sulla rinuncia. Le poche e lacunose fonti in tema di rinuncia papale portarono la dottrina ad adottare un modello di rinuncia traslato dalla casistica episcopale (11).

Gli elementi fondativi verranno ravvisati dalla dottrina decretistica nella causa della rinuncia e nel defectus superioris, ovvero nell’impossibilità di rinunciare nelle mani di un superiore gerarchico. Baziano, in una glossa a lui attribuita e riportata in uno dei primi apparatus al Decretum Gratiani, riconosceva come cause valide a legittimare la renuntiatio il desiderio di abbracciare la vita religiosa (religionem migrare), l’infermità (egritudine) e la vecchiaia (senectute). Uguccione da Pisa, alle cause citate aggiungerà l’inciso: si expediret; alias peccaret (12): la rinuncia viene riconosciuta come diritto del pontefice solo nella misura in cui da essa derivi un bene per la Chiesa. L’introduzione del principio del bonum commune Ecclesiae, trasferisce la questione della rinuncia dal piano del diritto oggettivo a quello coscienziale del foro interno (13).

Le Decretali di Gregorio IX non toccarono il tema della rinuncia del papa, limitandosi a disciplinare, nel titolo IX del libro I, la rinuncia episcopale. Questa, secondo la decretale Licet quibusdam di Innocenzo III, non è accettabile quando il richiedente può ancora esercitare l’episcopato con utilità (14). Nella decretale Nisi cum pridem i casi in cui la rinuncia episcopale è ammessa sono: la debolezza del corpo, la consapevolezza di un delitto, l’irregolarità, l’ostilità del popolo, un grave scandalo, la mancanza della necessaria conoscenza (15). La vecchiaia, intesa come causa della debilitas corporis insieme alla malattia, costituisce una delle principali legittimazioni di rinuncia (16). Non sono invece considerate cause legittime il desiderio di fuggire la posizione eminente connessa con l’ufficio episcopale, l’aspirazione ad eludere gli oneri e le funzioni proprie del vescovo, la volontà di sottrarsi ad una persecuzione non in atto ma solo incombente e lo zelum melioris vitae (17).

San Tommaso, intervenendo nel dibattito, richiede per la legittimità della rinuncia, che il vescovo non possa più reggere la diocesi senza grave pregiudizio per la salus animarum dei fedeli (18).

L’estensione interpretativa delle disposizioni del Liber Extra previste per i vescovi alla renuntiatio papale avverrà con papa Celestino V che, nel 1294, in occasione della sua rinuncia al pontificato – così come risulta dalla norma Quoniam aliqui del suo successore Bonifacio VIII –, stabilì espressamente che il romano pontefice potesse liberamente rinunciare.

Le reazioni furono immediate. Ubertino da Casale definì la rinuncia di Celestino V horrenda novitas. A favore della sua legittimità si pronunciò invece Godofredo di Fontaines († 1306). Il maestro di teologia alla Sorbona, applicando il principio aristotelico-tomista della causa finalis, sostenne che la rinuncia, qualora sussistano fondate cause, non solo è lecita ma addirittura dovuta, al fine di evitare un grave danno alla Chiesa (19). Egidio Romano (1243 -1316) sostenne che, ove il papa ravvisi la sua inadeguatezza a governare, se rinuncia per non nuocere al bene pubblico, compie opera meritoria (20). Secondo Giovanni Quidort († 1306), l’affermazione del primato papale si sostanzia in una cura animarum che subordina la potestas al servitium; il potere papale è più ministerium che dominium (21). Pietro di Auvergne (1350-1420) fondò la legittimità della rinuncia nello stesso comando divino che dispone di compiere, secondo ragione, tutto ciò che con evidenza risulta essere necessario alla salus e nel contempo proibisce quanto è ad essa contrario (22).

Dal punto di vista normativo, la disciplina sulla rinuncia papale trovò la sua prima codificazione espressa nella norma Quoniam aliqui, inserita da Bonifacio VIII nel libro I titolo VII del Liber Sextus (23).

La norma sarà poi codificata nel can. 221 del Codice pio-benedettino del 1917 (24) e, senza sostanziali cambiamenti, nel can. 332 § 2 del CIC 1983 che così recita: «Nel caso che il Romano Pontefice rinunci al suo ufficio, si richiede per la validità che la rinuncia sia fatta liberamente e che venga debitamente manifestata, non che sia accettata da alcuno» (25). Rispetto a Quoniam aliqui e al can. 221 del 1917 che parlavano di rinuncia senza ulteriori aggiunte, il can. 332 § specifica muneris.



2. Conscientia mea iterum atque iterum coram Deo explorata



«Carissimi Fratelli, vi ho convocati a questo Concistoro non solo per le tre canonizzazioni, ma anche per comunicarvi una decisione di grande importanza per la vita della Chiesa. dopo avere a lungo esaminato la mia coscienza davanti a Dio…» (26).

Vertice di un cammino giuridico bimillenario, la rinuncia di Benedetto XVI si pone parimenti come affermazione sublime del primato insindacabile della coscienza, tratto che contraddistingue Benedetto come uomo compiutamente europeo. Nell’originale latino infatti, la storica frase della rinuncia si apre con il richiamo solenne alla coscientia, soggetto ultimo e insindacabile della grave decisione di Benedetto: Conscientia mea iterum atque iterum coram Deo explorata… Compimento straordinario del cammino teologico e esistenziale dell’ultimo grande intellettuale teologo europeo del XX secolo, il richiamo della coscienza costituisce il fondamento ultimo della sua scelta. Una conscientia scolpita negli anni di studio attraverso la frequentazione assidua di Socrate, Tommaso Moro, Newman, «guide per la coscienza» (27), secondo una definizione data dal cardinal Ratzinger nel corso di una sua famosissima conferenza.

Una coscienza da intendersi come l’aprirsi dell’uomo alla voce della verità e delle sue esigenze (28). Il commento di Ratzinger alla vicenda di Tommaso Moro già preannuncia tratti della sua futura biografia: «per lui la coscienza non fu in alcun modo espressione di testardaggine soggettiva o di eroismo caparbio. Egli stesso si pose nel numero di quei martiri angosciati, che solo dopo esitazioni e molte domande hanno costretto se stessi ad obbedire alla coscienza: ad obbedire a quella verità, che deve stare più in alto di qualsiasi istanza sociale e di qualsiasi forma di gusto personale. Si evidenziano così due criteri per discernere la presenza di un’autentica voce della coscienza: essa non coincide con i propri desideri e con i propri gusti; essa non si identifica con ciò che è socialmente vantaggioso, col consenso di un gruppo o con le esigenze del potere politico o sociale» (29).

Proprio il confronto prolungato con la coscienza così intesa, esaminata davanti a Dio, lo porterà alla gravissima decisione della rinuncia.

La riflessione su un passo così grave fu senz’altro stimolata dalla lunga e inabilitante malattia di Giovanni Paolo II, con le conseguenze a tutti note sulla gestione concreta del governo della Chiesa. Il 19 aprile 2005 il cardinal Joseph Ratzinger, da collaboratore di Giovanni Paolo II divenne suo successore; le conclusioni della riflessione iniziata durante la malattia del predecessore da quel momento avrebbero coinvolto il suo stesso destino.




3. L’affermazione del diritto-dovere di dimettersi



Benedetto XVI aveva già avuto modo di manifestare le sue convinzioni in materia di rinuncia nel libro-intervista con Peter Seewald Luce del mondo, pubblicato per i tipi della Libreria Editrice Vaticana nel novembre 2010. Alla domanda del giornalista «Ha mai pensato di dimettersi?», Benedetto XVI rispose: «Quando il pericolo è grande non si può scappare. Ecco perché questo sicuramente non è il momento di dimettersi. È proprio in momenti come questo che bisogna resistere e superare la situazione difficile. Questo è il mio pensiero. Ci si può dimettere in un momento di serenità. O quando semplicemente non ce la si fa più. Ma non si può scappare proprio nel momento del pericolo e dire: “se ne occupi un altro”». Incalzato dal giornalista: «Quindi è immaginabile una situazione nella quale Lei ritenga opportuno che il Papa si dimetta?», riprese: «Quando un Papa giunge alla chiara consapevolezza di non essere più in grado fisicamente, mentalmente e spiritualmente di svolgere l’incarico affidatogli, allora ha il diritto e in alcune circostanze anche il dovere di dimettersi» (30).

In quell’occasione Benedetto XVI aveva chiaramente parlato non già di una mera facoltà arbitrariamente esercitabile, ma di un dovere ineludibile di coscienza, là dove il pontefice fosse giunto alla chiara consapevolezza di non essere più in grado di svolgere l’incarico affidatogli.

Tale dovere si fonda sulla natura stessa della sacra potestas nella Chiesa, sulle sue finalità e sui limiti del suo esercizio. Scrivendo a papa Eugenio III san Bernardo da Chiaravalle gli ricordava: praesis ut prosis, «sei a capo per essere utile». La formula viene così spiegata: «Tu presiedi per provvedere, per consultare, per sovvenire, per servire. Sei a capo per essere utile; sei a capo come quel servo fedele e saggio che il Signore costituì sulla sua famiglia. Perché? Per dare il cibo a tempo opportuno (Mt 24,45). Per questo, per dispensare, non per comandare» (31).

Nel pensiero dei Padri della Chiesa, tratto costitutivo del pastore non è quello di essere a capo quanto essere utile (32). L’essere a capo diventa allora strumentale all’essere utile; il principio di legittimazione del potere nella Chiesa si fonda pertanto nella sua utilità spirituale a vantaggio della comunità.

Dalla consapevolezza del fondamento diaconale-ministeriale del munus e della potestas nella Chiesa, ne consegue allora che, là dove il pastore si trovi nell’impossibilità di essere utile al popolo, viene meno la causa legittimante il suo essere a capo. Così Ivo di Chartres, scrivendo a Urbano II, affermava: «Poiché mi vedo essere a capo, ma non essere utile, spesso penso di rinunciare alla cura pastorale…» (33). In questa linea, poi ripresa dai passi già citati di Goffredo di Fontaines, Pietro di Auvergne, Egidio Romano e Giovanni Quidort, si porrà Benedetto XVI: «In questi ultimi mesi, ho sentito che le mie forze erano diminuite, e ho chiesto a Dio con insistenza, nella preghiera, di illuminarmi con la sua luce per farmi prendere la decisione più giusta non per il mio bene, ma per il bene della Chiesa. Ho fatto questo passo nella piena consapevolezza della sua gravità e anche novità, ma con una profonda serenità d’animo. Amare la Chiesa significa anche avere il coraggio di fare scelte difficili, sofferte, avendo sempre davanti il bene della Chiesa e non se stessi» (34).



3.1. «A motivo della età avanzata»


L’espressione ingravescente aetate, utilizzata da Benedetto XVI, richiama espressamente il Decreto conciliare Christus Dominus che, al numero 21, invita i vescovi a rassegnare spontaneamente o dietro sollecitazione le dimissioni, quando l’avanzata età (ob ingravescentem aetatem) o altro grave motivo li impedisse di adempiere il loro compito (35). Dello stesso tenore appare la preghiera rivolta dai Padri conciliari ai parroci nel numero 31 (36).

Paolo VI, dando esecuzione ai voti dei Padri Conciliari, inviterà col Motu proprio Ecclesiae Sanctae del 6 agosto 1966 vescovi e parroci a rinunziare al governo della diocesi e della parrocchia «non oltre i settantacinque anni»; con il Motu proprio del 21 novembre 1970 Ingravescentem aetatem, applicherà la medesima regola ai cardinali, invitandoli a presentare la rinuncia al loro ufficio al compimento dei 75 anni di età, stabilendo inoltre la perdita del diritto di eleggere il romano pontefice e di conseguenza di entrare in Conclave con il compimento degli 80 anni. Proprio il calo delle forze a motivo della età avanzata sarà addotto da Papa Benedetto XVI come motivo della rinuncia.


3.2. La formula di rinuncia innovativa introdotta da Benedetto XVI



Venendo ora alla formula utilizzata per esprimere la rinuncia, due sono i dati che emergono dalla declaratio: in primo luogo il mancato richiamo al can. 332 § 2; in secondo luogo la scelta di un lessico differrente tanto dalla norma Quoniam alicui di Bonifacio VIII che parla di rinuncia al papato (renuntiare papatui), quanto dal dettato codiciale che disciplina invece la renuntiatio muneri. La declaratio infatti afferma la renuntiatio ministerio. La novità della formula di Benedetto XVI può essere colta in tutta la sua portata ricostruendo le articolazioni argomentative del testo.

Dopo aver richiamato il primato della coscienza, Benedetto XVI afferma: «le mie forze, per l’età avanzata, non sono più adatte per esercitare in modo adeguato il ministero petrino» (37). La consapevolezza della coscienza riguarda la sopravvenuta inidoneità ad amministrare rettamente l’incarico (munus) petrino. Attraverso questa formulazione (vires meas… non iam aptas esse ad munus Petrinum aeque administrandum), l’incarico (munus) viene distinto dalla sua amministrazione. Le forze gli appaiono inidonee all’amministazione del munus, non al munus stesso.

Riconosciuta l’inadeguatezza ad amministrare l’incarico, la rinuncia appare come atto dovuto. Ciò che si oppone alla rinuncia così intesa è però l’essenza eminentemente spirituale del munus petrino. Leggendo la rinuncia sotto l’ottica dell’efficienza moderna infatti, il ministro sacro viene equiparato all’amministratore delegato della «società Chiesa» che, quando non è più in grado, rimette il mandato agli azionisti; la rinuncia, sempre considerata secondo l’ottica moderna, farebbe uscire il papa dalla sfera del pubblico per farlo tornare nella sua privacy. Tali logiche mal si conciliano con l’essenza spirituale del ministero petrino, testimoniata da Giovanni Paolo II fino alla morte. Proprio l’exemplum o precedente autorevole del beato Giovanni Paolo II che, malgrado l’incapacità a governare, non rinunciò all’ufficio, rappresentava l’obiezione spirituale più profonda alla rinuncia.

In realtà proprio la comprensione spirituale del munus consente a Benedetto XVI di fondare la legittimità della sua rinuncia senza negare la scelta del suo predecessore. «Sono ben consapevole che questo ministero (munus), per la sua essenza spirituale, deve essere compiuto (exequendum) non solo con le opere e con le parole, ma non meno soffrendo e pregando» (38).

Nel passo citato Benedetto XVI propone due fondamentali distinzioni in ordine al munus petrino: in primo luogo distingue tra munus e executio muneris, evocando la distinzione grazianea tra potestas officii e la sua executio (39) e riprendendo la distinzione tra munus e la sua amministrazione; in secondo luogo distingue, tra le diverse attività che compongono la executio, tra un’executio amministrativo-ministeriale (agendo e loquendo) e una più spirituale (orando e patiendo).

L’executio del munus petrino si compie allora non solo con l’azione e la parola, ma anche, non in grado minore, con la preghiera e il patire. All’adempimento amministrativo-ministeriale, che consiste nell’azione e nell’insegnamento, si aggiunge un adempimento più spirituale, non inferiore al primo, consistente nel patimento e nella preghiera.

Alla luce di tali considerazioni appare legittima e meritoria la scelta di Giovanni Paolo II adempiere il munus affidatogli con la preghiera e la malattia inabilitante le funzioni di governo in senso stretto, ovvero in senso amministrativo-ministeriale.

Rispetto al tempo di Giovanni Paolo II però le circostanze storiche sono cambiate: «nel mondo di oggi, soggetto a rapidi mutamenti e agitato da questioni di grande rilevanza per la vita della fede, per governare la barca di san Pietro e annunciare il Vangelo, è necessario anche il vigore sia del corpo, sia dell’animo, vigore che, negli ultimi mesi, in me è diminuito in modo tale da dover riconoscere la mia incapacità di amministrare bene il ministero a me affidato».

Il richiamo alle circostanze presenti (nostri temporis) con i cambiamenti avvenuti rende ora doverosa, per Benedetto XVI, una scelta diversa. È necessario il vigore del corpo e dell’animo per governare e annunciare il Vangelo. Riscontrando la propria incapacità ad amministrare bene il ministero affidatogli, dichiara di rinunciare al ministerium. Non al papato, secondo il dettato della norma di Bonifacio VIII; non al munus secondo il dettato del can. 332 § 2, ma al ministerium, o, come specificherà nella sua ultima udienza, all’«esercizio attivo del ministero» (40).

Nel giorno della elezione al pontificato aveva votato in modo nuovo tutta la sua vita al bene della Chiesa una volta per sempre; la decisione di rinunciare all’esercizio attivo del ministero non revoca questo: «Non ritorno alla vita privata, a una vita di viaggi, incontri, ricevimenti, conferenze eccetera. Non abbandono la croce, ma resto in modo nuovo presso il Signore Crocifisso. Non porto più la potestà dell’officio per il governo della Chiesa, ma nel servizio della preghiera resto, per così dire, nel recinto di san Pietro» (41); dedicare la vita alla preghiera e alla meditazione «non significa abbandonare la Chiesa, anzi, se Dio mi chiede questo è proprio perché io possa continuare a servirla con la stessa dedizione e lo stesso amore con cui ho cercato di farlo fino ad ora, ma in un modo più adatto alla mia età e alle mie forze» (42).
Il servizio alla Chiesa continua con lo stesso amore e con la stessa dedizione anche al di fuori dell’esercizio del potere. Oggetto della rinuncia irrevocabile infatti è l’executio muneris mediante l’azione e la parola (agendo e loquendo), non il munus affidatogli una volta per sempre.


Conclusioni


L’11 febbraio del 2013, in piena sintonia con la tradizione della Chiesa, Benedetto XVI dichiarava la sua rinuncia al ministero petrino. Rispetto al dettato del canone però dichiarava di rinunciare non già all’ufficio ma alla sua amministrazione. La rinuncia limitata all’esercizio attivo del munus costituisce la novità assoluta della rinuncia di Benedetto XVI. A fondamento giuridico della sua scelta non c’è allora il can. 233 § 2 che disciplina una fattispecie differente di rinuncia rispetto a quella pronunciata da Benedetto XVI. Il fondamento teologico giuridico è la plenitudo potestatis sancita dal can. 331. Proprio nel fascio delle potestà inerenti l’ufficio è compresa anche la potestà privativa ovvero la facoltà libera e insindacabile di rinunciare a tutte le potestà stesse senza rinunciare al munus.

Presa consapevolezza che le sue forze non erano più idonee all’amministrazione del munus affidatogli, con atto libero Benedetto XVI ha esercitato la pienezza del potere privandosi di tutte le potestà inerenti il suo ufficio, per il bene della Chiesa, senza però abbandonare il servizio alla Chiesa; questo continua mediante l’esercizio della dimensione più eminentemente spirituale inerente al munus affidatogli, al quale non ha inteso rinunciare.

L’atto supremo di abnegazione di sé per il bene della Chiesa costituisce in realtà l’atto supremo del potere posto in essere dal papa emerito, nonché ultimo atto solenne del suo magistero.

Il munus spirituale, per essere pienamente adempiuto, può comportare la rinuncia alla sua amministrazione; questa non determina in alcun modo la rinuncia alla missione inerente l’ufficio, ma ne costituisce il compimento più vero. Col gesto della rinuncia, Benedetto XVI ha incarnato anzi la forma più elevata del potere nella Chiesa, sull’esempio di Colui che avendo tutto il potere nelle sue mani depose le vesti (43), non dismettendo in questo modo, ma portando a compimento il suo ufficio a servizio degli uomini, cioè la nostra salvezza.

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NOTE


(1)  Utilizzo l’espressione con la quale i cardinali si opposero al tentativo di rinuncia fatto da Papa Celestino III intorno al Natale del 1197, a pochi giorni dalla sua morte: «Sed omnes cardinales una voce responderunt, quod illum conditionaliter non eligerent, dicentes, quod inauditum erat, quod summus Pontifex se deponeret», Ruggero di Howden, Chronica, ed. Stubbs, London 1871, IV, 32.

(2)  «È evidente che il Papa che si è dimesso non è più Papa, quindi non ha più alcuna potestà nella Chiesa e non può intromettersi in alcun affare di governo. Ci si può chiedere che titolo conserverà Benedetto XVI. Pensiamo che gli dovrebbe essere attribuito il titolo di Vescovo emerito di Roma, come ogni altro Vescovo diocesano che cessa» (G. Ghirlanda, Cessazione dall’ufficio di Romano Pontefice, in La Civiltà Cattolica 3905 (2013) 445-462, qui 448. Benedetto XVI, disattendendo l’indicazione di Ghirlanda, si è fatto invece chiamare Papa emerito.

(3)  Cfr. O. Guyotjeannin, voce Rinuncia, in Dizionario storico del papato, Milano 1996, 1263 ss.; P. Grandfield, Papal resignation, in The Juris 38 (1978) 118-123. Con qualche riserva anche A. M. Piazzoni, Storia delle elezioni pontificie, Casale Monferrato 2003, 69, 102, 155. Di diverso avviso V. Gigliotti, La renuntiatio Papae nella riflessione giuridica medievale, in Rivista di Storia del diritto italiano LXXIX (2006) 316 ss.

(4)  Il santo monaco, eletto suo malgrado cardinale e vescovo di Ostia nel 1057, nell’addurre precedenti volti a legittimare la sua rinuncia, richiama espressamente l’exemplum di Benedetto che non esitò a rinunciare al governo che aveva ricevuto: «Porro autem et B. Benedictum instar magni cujusdam pontificis, possumus ad exemplum imitationis inducere, qui videlicet commissum non ambigitur regimen dimisisse», Opusculum XIX. De abdicatione episcopatus, PL 154, 441C.

(5)  Nella presentazione delle rinunce vere o presunte al pontificato seguo V. Gigliotti, La Renuntiatio Papae nella riflessione giuridica medievale, cit., 301 ss., cui rinvio per approfondimenti.

(6)  V. Gigliotti, La Renuntiatio Papae, cit., 310.

(7)  a. M. Piazzoni, Storia delle elezioni pontificie, cit., 22.

(8)  Casi dubbi sono quelli di Martino I (654-655), Benedetto V (964) e Giovanni XVIII (1009 ?), Benedetto IX, Gregorio VI. Sul punto si confronti V. gigliotti, La Renuntiatio Papae, cit., 314-315; 321-326.

(9)  Così l’incipit dello scritto supplice indirizzato a papa Nicolò II: «Orat pontificem summum, suppliciterque obsecrat, ut sibi episcopatus onus deponere permittat: causas praecipuas affert, quod senior sit, et idcirco quieti magis quam laboribus idoneus; quod illud laboriosum munus non sponte, sed coactus susceperit, et denique quod propter sua peccata, ut ipse inquit, indignus sit qui in tam excelso honoris et dignitatis fastigio sedeat. Licere autem, si ita tempus aut ratio postulet, episcopatu se abdicare, plurimis sanctorum virorum et exemplis et auctoritatibus comprobat. In fine Deum precatur, ut eam pontifici mentem det, qua suis votis satisfaciat»; Pier Damiani, Opusculum XIX. De abdicatione episcopatus, PL 145, 423A.

(10)  «Sacramentum autem inter Romanum pontificem et Romanam Ecclesiam tam firmum et stabile perseverat, ut non nisi per mortem unquam ab invicem separentur; quia mortuo viro mulier, secundum Apostolum, “soluta est a lege viri (Rom. VII)”. Vir autem iste alligatus uxori, solutionem non quaerit, non cedit, non deponitur; nam “suo domino aut stat, aut cadit (Rom. XIV)”. – “Qui autem judicat, Dominus est (I Cor. IV)”. Propter causam vero fornicationis Ecclesia Romana posset dimittere Romanum pontificem. Fornicationem non dico carnalem, sed spiritualem; quia non est carnale, sed spirituale conjugium, id est propter infidelitatis errorem», Innocenzo III, Sermones de diversis, III, PL 217, 664D-665A.

(11)  Cfr. V. Gigliotti, La Renuntiatio Papae, cit., 330.

(12)  «Sed numquid papa hodie posse se ipsum deponere uel abrenuntiare et intrare monasterium? Credo quod sic, si expediret; alias peccaret. Et nunc eo uiuente substitueretur», Uguccione da Pisa, Summa Decretorum, glossa tuo ore a D. 21 c. 7.

(13)  Cfr. V. Gigliotti, La Renuntiatio Papae, cit., p. 332.

(14)  «Quando potest episcopus praeesse pariter prodesse, non debet cedendi licentiam postulare, aut etiam ?obtinere» (X.3.31.18).

(15)  «Intueri te itaque, venerabilis frater noster in Christo, volumus, quod haec sunt illa, per quae cedendi episcopus officio pastorali licentiam potest postulare: conscientia criminis, debilitas corporis, defectus scientiae, malitia plebis, grave scandalum, irregularitasque personae» (X.1.9.10).

(16)  «Alia vero causa est debilitas corporis, propter quam aliquis potest petere ab onere sollicitudinis pastoralis absolvi, quae videlicet vel ex infirmitate, vel ex senectute procedit; nec tamen omnis, sed illa solummodo, per quam impotens redditur ad exsequendum officium pastorale» (X. 1.9.10).

(17)  Cfr. V. Gigliotti, La Renuntiatio Papae, cit., 334-335.

(18)  «Sed si salutem aliorum procurare non possit, conveniens est ut suae saluti intendat», Tommaso d’Aquino, S.Th. II-II, q. 185, art. V, t. 4.

(19)  Cfr. V. Gigliotti, La Renuntiatio Papae, cit., 359.

(20)  «Sed si videret se insufficientem ad gubernandam Ecclesiam, et quia nollet, quod bonum publicum sub ipso langueret, si hoc modo cederet, multum mereretur. In potestate quidem sua est cedere, cum vult. Et si cedat, tenebit eius cessio. Sed caveat, quo animo id faciat», Egidio Romano, De renuntiatione papae, VI.

(21)  Cfr. V. Gigliotti, La Renuntiatio Papae, cit., 362.

(22)  «Racionabile enim est deum precipere quidquid secundum racionem evidenter necessaria ad salutem et prohibere omne contrarium. Hoc eciam ordinatum aut suppositum quod possibile est per dominum Celestinum, quod scilicet summus pontifex cedere possit in casu et ideo hoc simpliciter est tenendum», PietRo di Auvergne, Quaestio XV del Quodlibet I.

(23)  «Quoniam aliqui curiosi disceptantes de his, quae non multum expediunt, et plura sapere, quam opporteat, contra doctrinam Apostoli, temere appetentes, in dubitationem sollicitam, an Romanus Pontifex (maxime cum se insufficientem agnoscit ad regendam uniuersalem Ecclesiam, et summi Pontificatus onera supportanda) renunciare ualeat Papatui, eiusque oneri, et honori, deducere minus prouide uidebantur: Caelestinus Papa quintus praedecessor noster, dum eiusdem ecclesiae regimini praesidebat, uolens super hoc haesitationis cuiuslibet materiam amputare, deliberatione habita cum suis fratribus Ecclesiae Romanae Cardinalibus (de quorum numero tunc eramus) de nostro, et ipsorum omnium concordi consilio et assensu, auctoritate Apostolica statuit, et decreuit: Romanum Pontificem posse libere resignare. Nos igitur ne statutum huiusmodi per temporis cursum obliuioni dari, aut dubitationem eandem in recidiuam disceptationem ulterius deduci contingat: ipsum inter constitutiones alias, ad perpetuam rei memoriam, de fratrum nostrorum consilio duximus redigendum».

(24)  «Si contingat ut Romanus Pontifex renuntiet, ad eiusdem renuntiationis validitatem non est necessaria Cardinalium aliorumve acceptatio».

(25)  «Si contingat ut Romanus Pontifex muneri suo renuntiet, ad validitatem requiritur ut renuntiatio libere fiat et ite manifestetur, non vero ut a quopiam acceptetur».

(26)  Benedetto XVI, Declaratio, 10 febbraio 2013.

(27)  J. Ratzinger, Coscienza e verità, in Id., La Chiesa. una comunità sempre in cammino, Cinisello Balsamo 2008, 139-169, qui 150.

(28)  Ibid., 157.

(29)  Ibid., 154.

(30)  Benedetto XVI, Luce del mondo. Il Papa, la Chiesa e i segni dei tempi. Una conversazione con Peter Seewald, Città del Vaticano 2010, 52-53.

(31)  «Ita et tu praesis ut provideas, ut consulas, ut procures, ut serves. Praesis ut prosis; praesis ut fidelis servus et prudens, quem constituit Dominus super familiam suam. Ad quid? Ut des illis escam in tempore (Matth. XXIV, 45); hoc est, ut dispenses, non imperes», Bernardo di Chiaravalle, De consideratione III, 1, 2.

(32)  La formula patristica, indicante la natura diaconale del potere nella Chiesa, trova numerosissimi impieghi presso i Padri. Come affermava Agostino nel De Civitate Dei XIX, 19, 19: «Non esse episcopum qui praeesse dilexerit, non proesse curat». San Cesario di Arles dirà nel Sermo 230, 1: «Qui populo Dei non tam praeesse, quam proesse desiserit». Nella Regola Pastorale II, 6, scrive Gregorio Magno: «Unde cuncti qui prosunt, non in se potestatem ordinis sed aequalitatem pensare condicionis; nec praesse se hominibus gaudeant, sed proesse». Nell’omelia XVII, 4, tenuta ai Vescovi in Laterano, Gregorio rimprovererà quei pastori che si si comportano più da padroni che da padri (pastores qui dominos se potius quam patres exhibent) così nuocendo a quanti avrebbero invece dovuto giovare (et quibus proesse debuerant, nocent).

(33)  «Unde video me praeesse, sed nulli fere proesse, saepe delibero renuntiare curae pastorali, et ad pristinam quietem redire», ivo di Chartres, Epistola 25.

(34)  Benedetto XVI, Udienza generale del 27 febbraio 2013.

(35)  «Cum igitur pastorale Episcoporum munus tanti sit momenti tantaeque gravitatis, Episcopi dioecesani aliique in iure ipsis aequiparati, si, ob ingravescentem aetatem aliamve gravem causam, implendo suo officio minus apti evaserint, enixe rogantur ut, vel sua ipsi sponte vel a competenti Auctoritate invitati, renuntiationem ab officio exhibeant. Competens autem Auctoritas, si illam acceptaverit, et de congruenti renuntiantium sustentatione et de peculiaribus iuribus iisdem recognoscendis providebit».

(36)  «Parochi autem, qui ob ingravescentem aetatem aliamve gravem causam, ab officio rite et fructuose adimplendo impediuntur, enixe rogantur ut sua ipsi sponte, aut ab Episcopo invitati, officii renuntiationem faciant».

(37)  Benedetto XVI, Declaratio, 10 febbraio 2013.

(38)  Benedetto XVI, Declaratio, 10 febbraio 2013

(39)  Cfr. Decretum Gratiani, C. 24, q. 1, dict. post. c. 37.

(40) Benedetto XVI, Udienza generale del 27 febbraio 2013.

(41) Ibid.

(42) Benedetto XVI, Angelus del 24 febbraio 2013.

(43) Cfr. Gv 13,2-4, ma anche Fil 2,5-7: «pur essendo di natura divina non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio, ma spogliò se stesso…».

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15.9.2014 

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LA RICERCA DELLA VERA FEDE - THE SEARCH OF TRUE FAITH

LA FILOSOFIA DI RATZINGER

Qual’e’ la filosofia di Joseph Ratzinger, PPBXVI, o come lui ama soprannominarsi “papa emerito” (ma in realta’ “volente o nolente” (*) tuttora nostro papa)?

E’ veramente un seguace della Dialettica Hegheliana come afferma nella sua ultima intervista Mons. Carlo Maria Vigano? (1)

Vogliamo dimostrare che, almeno a giudicare dalla sua opera “giovanile”, ovvero il famoso testo “Einfuerhrung in das Christentum” (“Introduzione al Cristianesimo”, 4), la sua filosofia di elezione e’ quella Illuminista (2). Precisamente e’ la concezione filosofica dovuta al filosofo tedesco Immanuel Kant (3) e basata sul Principio della Non-Contraddizione di Aristotele (7). Si tratta pertanto – si badi bene – dello stesso principio utilizzato nella teologia cristiana e in particolare quella Tomistica.

Tuttavia, come vogliamo altresi’ provare, questa convinzione filosofica iniziale, sebbene sia dubbio che l’abbia effettivamente poi mantenuta, non gli ha impedito di essere un buon cristiano.

La risposta alla domanda posta piu’ sopra la fornisce Ratzinger stesso appunto nell’opera sopracitata (4). Infatti Ratzinger nel primo capitolo del libro (a pag.46), citando un brano del filosofo ebreo Martin Buber (5), riferisce la posizione di un saggio ebreo ateo, seguace dell’Illuminismo, il quale nega appunto l’esistenza di Dio.

Il ragionamento razionale del saggio Illuminista (che, come vedremo piu’ oltre, Ratzinger mostra di condividere) e’ infatti basato sull’asserzione che se si utilizzano i principi logici dell’Illuminismo (6), allora Dio non esisterebbe (questo e’ il cosiddetto ateismo filosofico).

Ratzinger infatti conclude affermando che il ragionamento razionale e’ in conflitto con la fede in Dio! Con questa sua affermazione, tuttavia, Ratzinger dimostra di considerare valido il ragionamento razionale dell’illuminismo! Ratzinger afferma quindi che la fede del cristiano e’ possibile solo a livello personale (con “il cuore”), ovvero se egli spera appunto con “il cuore” che la sua ragione (il ragionamento razionale) sbagli! Si tratta, pertanto, con ogni evidenza di un ragionamento razionale, appunto, ma assurdo! Ma che conferma quanto anticipato: ovvero che Ratzinger e’ allo stesso tempo convinto della validita’ della filosofia illuminista (non sia mai che Kant venga posto in dubbio con la ragione!), ma allo stesso tempo la pone in dubbio con il cuore (sperando quindi che il ragionamento razionale fallisca, anche se non sa dire come e perche’!).

L’EVOLUZIONE DEL PENSIERO DI PPBXVI

Tuttavia e’ possibile dimostrare un cambiamento significativo verificatosi successivamente nel pensiero di Benedetto XVI. Nella sua Lectio Magistralis tenuta all’Universita’ di Ratisbona nel 2006 dal titolo Fede, ragione e universita’. Ricordi e riflessioni, Benedetto XVI sostenne la tesi

dell’indissolubilita’ tra fede e ragione , specificando che la vera fede non puo’ essere contraria alla ragione!

Si tratta, come ben si comprende, di un rovesciamento vero e proprio dell’iniziale suo pensiero filosofico di tipo Illuminista!

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(*) bella affermazione di Don Alessandro Minutella, Rubrica Santi e Caffe’, 15 marzo 2021.

(1) Intervista di Mons.Vigano a Radio Spada, 11 marzo 2021 https://www.proselitismodellascienza.it/2021/03/13/intervista-di-mons-vigano-a-radio-spada/
(2) LA FILOSOFIA DELL’ILLUMINISMO, Max Tex, https://www.proselitismodellascienza.it/2021/01/10/la-filosofia-dellilluminismo/
(3) Immanuel Kant (22 aprile 1724, Königsberg 12 febbraio 1804, Königsberg), Critica della Ragion Pura, VII edizione italiana riveduta 1959, Laterza.
(4) Joseph Cardinal Ratzinger, Introduction to Christianity, Edizione 2000, Ignatius press, San Francisco; opera originale in tedesco “Einfuerhrung in das Christentum”, Kesel-Verlag GMBH, Munich 1968.
(5) Martin Buber, teologo e filosofo austriaco naturalizzato israeliano (8 febbraio 1878, Vienna, Austria 13 giugno 1965, Talbiya, Gerusalemme)
(6) Il Principio della Non-Contraddizione di Aristotele (384 avanti Cristo, Stagira, Grecia – 322 avanti Cristo, Calcide, Grecia) afferma che “ogni frase logica e’ vera o falsa, le due possibilita’ essendo mutuamente escluse.

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LA RICERCA DELLA VERA FEDE - THE SEARCH OF TRUE FAITH

Intervista di Mons.Vigano a Radio Spada. Interview of Mons. Vigano’ to Radio Spada

LA TESI ESPOSTA DAL MONS.VIGANO DURANTE L’INTERVISTA: la filosofia di PPBXVI (come per Karl Rahner) e’ basata sulla Dialettica Hegheliana (thesis,antithesis e syntesis).

The main thesis stated by Mons. Vigano during the interview: PPBXVI philosophy is (like for Karl Rahner) based on Hegelian Dialectics (thesis, antithesis and syntesis).

RS: Buongiorno Eccellenza, La ringraziamo per il dialogo che intratterremo. Partiamo da Galleria neovaticana, il libro di Marco Tosatti di cui Lei ha scritto la prefazione. Ci permetta di raccontarLe un aneddoto: non era passata che qualche ora dall’annuncio dell’invio in stampa, e già su Twitter si manifestava un profilo con un sondaggio – basandosi solo sulla copertina e sul titolo, evidentemente – per chiedere quanto fosse evangelico stampare un volume dedicato a scabrose accuse e a fatti non sempre edificanti. Cosa risponderebbe a questa obiezione?

CMV: Mi sia qui permesso di ricordare che Benedetto XVI nei mesi che precedettero la sua decisione di assumere il titolo singolare di “papa emerito”, istituì una Commissione cardinalizia, presieduta dal Cardinale Herranz, e composta dai Cardinali Tomko e De Giorgi, con l’incarico di svolgere un’accurata indagine concernente le notizie riservate diffuse da Vatileaks. In quell’occasione, dovetti insistere con il Cardinale Herranz perché potessi deporre, atteso che non era sua intenzione interrogarmi nonostante fossi coinvolto in prima persona come autore dei documenti riservati destinati al Pontefice, che erano stati trafugati e consegnati alla stampa. Consegnai loro un corposo dossier in cui rendevo conto di tutte le disfunzioni e della rete di corruzione di cui ero venuto a conoscenza e che ebbi a fronteggiare come Segretario Generale del Governatorato. Accompagnai quel dossier con una lettera, in cui tra l’altro scrissi: “Sono molto addolorato per il grave danno procurato alla Chiesa e alla Santa Sede dalla fuga di tanti documenti riservati… Se vi sono dei responsabili per tali atti inconsulti, ben più grave è la colpa di chi si è reso responsabile di tanta corruzione e degrado morale nella Santa Sede e nello Stato della Città del Vaticano, e quella di alcuni cardinali, prelati e laici che, pur sapendo, hanno preferito convivere con tanta sporcizia, addormentando le loro coscienze pur di compiacere al superiore potente e far carriera. Spero che almeno questa Commissione Cardinalizia, per amore alla Chiesa, sia fedele al Santo Padre e faccia tutta la pulizia necessaria da Lui voluta e non permetta che questa Sua iniziativa sia ancora una volta insabbiata… Numerosi sono stati i giornalisti di vari paesi che hanno cercato di contattarmi… Sono stato zitto, per amore alla Chiesa e al Santo Padre. La forza della verità deve sgorgare dall’interno della Chiesa e non dai media… Prego per Voi Cardinali, perché abbiate il coraggio di dire la verità al Santo Padre; e prego per il Santo Padre, perché abbia la forza di far sì che essa venga alla luce nella Chiesa.”
Quella mole di informazioni, assieme alle altre prove raccolte dai tre Cardinali, avrebbe consentito un’operazione di pulizia: tutto è stato insabbiato! e può solo costituire un ulteriore elemento di ricatto per i nomi ivi contenuti e, da ormai otto anni, un’occasione di discredito nei confronti di chi viceversa ha servito fedelmente la Chiesa e la Santa Sede.
Necesse est enim ut veniant scandala; verumtamen væ homini per quem scandalum venit (Mt 18, 7). Denunciare la corruzione dei chierici e dei Prelati si è imposto come un gesto di carità nei riguardi dei fedeli e un atto di giustizia nei confronti della Chiesa martoriata, perché da un lato mette in guardia il popolo di Dio dai lupi travestiti da agnelli e li mostra per quello che sono, e dall’altro dimostra che la Sposa di Cristo è vittima di una conventicola di lussuriosi avidi di potere, allontanati i quali essa può tornare a predicare il Vangelo. Non è chi porta alla luce gli scandali che pecca contro la carità evangelica, ma chi quegli scandali li compie e li copre. Le parole del Signore non danno adito ad equivoci.Advertisementabout:blank

RS: Come si sa, andando oltre il tema morale, risulta impossibile non individuare nel tracollo dottrinale il cardine stesso della crisi nella Chiesa. In relazione a questo, in più occasioni Lei ha manifestato una critica serrata al Vaticano II. Sul punto Le chiederemmo una specificazione ulteriore. Parlando con Sandro Magister ha attaccato: «la favola bella dell’ermeneutica – ancorché autorevole per il suo Autore – rimane nondimeno un tentativo di voler dar dignità di Concilio ad un vero e proprio agguato contro la Chiesa». Possiamo dunque chiarire che il problema non è individuabile solo dal Vaticano II ma nel Vaticano II? Detto in altri termini: il processo rivoluzionario ha avuto una svolta con il “Concilio” e non solo dopo il “Concilio”? Non semplicemente lo spirito vaticansecondista, ma anche la lettera è da mettere sotto accusa?

CMV: Non vedo come si possa sostenere che vi sia un presunto Vaticano II ortodosso di cui nessuno ha parlato per anni, tradito da uno spirito del Concilio che pure tutti elogiavano. Lo spirito del Concilio è ciò che lo anima, quello che ne determina la natura, la particolarità, le caratteristiche. E se lo spirito è eterodosso mentre i testi conciliari non sembrano essere dottrinalmente eretici, questo è da attribuire ad un’astuta mossa dei congiurati, all’ingenuità dei Padri conciliari e alla connivenza di quanti hanno preferito guardare altrove, sin dall’inizio, piuttosto di prendere posizione con una chiara condanna delle deviazioni dottrinali, morali e liturgiche.
I primi ad essere perfettamente consapevoli dell’importanza di mettere mano ai testi conciliari per poterli poi usare per i propri scopi furono Cardinali e Vescovi progressisti, in particolare tedeschi e olandesi, con i loro periti. Non a caso essi fecero in modo di rifiutare gli Schemi preparatori preparati dal Sant’Uffizio e ignorarono i Desiderata dell’Episcopato mondiale, ivi compresa la condanna degli errori moderni, specialmente del comunismo ateo; riuscirono anche ad impedire la proclamazione di un dogma mariano, vedendo in esso un «ostacolo» al dialogo ecumenico. La nuova leadership del Vaticano II fu possibile grazie ad un vero e proprio colpo di mano, al ruolo preminente del Gesuita Bea e dall’appoggio di Roncalli. Se gli Schemi fossero stati mantenuti, nulla di quello che uscì dalle Commissioni sarebbe stato possibile, perché essi erano impostati sul modello aristotelico-tomistico che non permetteva formulazioni equivoche.
La lettera del Concilio va quindi messa sotto accusa perché è da questa che è partita la rivoluzione. D’altra parte: sapreste citarmi un caso nella storia della Chiesa in cui un Concilio Ecumenico sia stato deliberatamente formulato in modo equivoco per far sì che ciò che esso insegnava nei suoi atti ufficiali venisse poi sovvertito e contraddetto nella pratica? Ecco: basta questo per catalogare il Vaticano II come un caso a sé, un hapax sul quale gli studiosi potranno cimentarsi, ma che dovrà trovare soluzione da parte dell’Autorità suprema della Chiesa.

RS: Come è avvenuta la Sua presa di coscienza in relazione a questa crisi? Un processo graduale? Un fatto immediato e sviluppatosi nel breve periodo?

CMV: La mia presa di coscienza è stata progressiva, ed è iniziata relativamente presto. Ma comprendere, o iniziare a sospettare che quanto ci fu presentato come frutto dell’ispirazione dello Spirito Santo fosse in realtà suggerito dall’inimicus homo non è bastato a far crollare quel senso di sofferta obbedienza alla Gerarchia, anche in presenza di molteplici prove della malafede e del dolo di alcuni suoi esponenti. Come ho già avuto modo di dichiarare, quello che allora vedevamo concretizzarsi – parlo ad esempio di alcune novità come la collegialità episcopale o l’ecumenismo o il Novus Ordo – potevano apparire come dei tentativi di venire incontro al comune desiderio di rinnovamento, sull’onda della ricostruzione del dopoguerra. Dinanzi al boom economico e ai grandi eventi politici, la Chiesa sembrava doversi in qualche modo svecchiare, o così ci dicevano tutti, ad iniziare dal Santo Padre. Chi era abituato alla disciplina preconciliare, all’ossequio all’Autorità, alla venerazione del Pontefice Romano non osava nemmeno pensare che quello che ci veniva surrettiziamente mostrato come un mezzo per diffondere la Fede e convertire alla Chiesa Cattolica tante anime era in realtà un veicolo, un inganno dietro cui si celava, nella mente di alcuni, l’intenzione di cancellare progressivamente la Fede e lasciare le anime nell’errore e nel peccato. Quelle “novità” non piacevano quasi a nessuno, men che meno ai laici, ma ci erano presentate come una sorta di penitenza da accettare, avendone in cambio una maggior diffusione del Vangelo e la rinascita morale e spirituale di un mondo occidentale prostrato dalla Guerra e minacciato dal materialismo.
Cambiamenti radicali iniziarono con Paolo VI, con la riforma liturgica e la drastica proibizione della Messa tridentina. Mi sentii personalmente ferito ed impotente quando, come giovane segretario all’allora Delegazione apostolica di Londra, la Santa Sede proibì all’Associazione Una Voce la celebrazione di una sola Messa secondo il Rito Antico nella cripta della Cattedrale di Westminster.
Durante il Pontificato di Giovanni Paolo II alcune delle istanze più estreme del Concilio trovarono una spinta propulsiva nel pantheon di Assisi, negli incontri nelle moschee e nelle sinagoghe, nelle richieste di perdono per le Crociate e l’Inquisizione, con la cosiddetta purificazione della memoria. La carica eversiva di Dignitatis humanae e di Nostra ætate fu evidente in quegli anni.
Venne poi Benedetto XVI e la liberalizzazione della liturgia tradizionale, fino ad allora ostentatamente avversata, nonostante le concessioni papali successive alle Consacrazioni episcopali di Ecône. Malauguratamente le devianze ecumeniche non cessarono nemmeno con Ratzinger, e con esse l’ideologia conciliare che le giustificavano. L’abbandono di Benedetto e l’avvento di Bergoglio continuano ad aprire gli occhi a moltissime persone, soprattutto ai fedeli laici.

RS: Tema distinto ma connesso a questo è quello relativo ai protagonisti della stagione conciliare e post-conciliare. Fermiamoci un attimo sulla figura di Ratzinger: risulta innegabile, pur con sfumature diverse, il ruolo del teologo bavarese tanto al Vaticano II quanto dopo (ricordiamo che dal 1981 al 2005 è stato Prefetto della Congregazione per la dottrina della Fede, dal 2005 al 2013 ha regnato sul Soglio di Pietro, dal 2013 è “Papa emerito”). Da parte nostra il giudizio sulla portata del ratzingerismo è certamente negativo: sotto la sua amministrazione della CdF hanno prosperato quelle stesse devianze che oggi vediamo “fiorire” in modo esplicito; appena eletto al Soglio ha tolto la tiara dallo stemma pontificio; ha proseguito sulla via dell’ecumenismo indifferentista rinnovando le scandalose celebrazioni di Assisi; a Erfurt è arrivato al punto di affermare «Il pensiero di Lutero, l’intera sua spiritualità era del tutto cristocentrica», nel Motu proprio Summorum Pontificum ha definito la Messa di sempre e il Novus Ordo come due forme dello stesso rito (quando al contrario implicano due teologie totalmente diverse); ha poi creato questo ibrido improbabile del “Papa emerito vestito di bianco” che – al netto delle intenzioni, che non giudichiamo – sembra essere non solo un pericoloso equivoco, ma un ingranaggio quasi necessario del dualismo che anima l’attuale dinamica della dissoluzione ecclesiale. Questi pochi esempi, cui ne potrebbero seguire molti altri, sono a nostro avviso rivelatori del fatto che Ratzinger, da sempre e pur con ruoli e posizioni non identiche, è stato dall’altra parte della barricata. Abbiamo già visto la Sua affermazione sulla «favola bella dell’ermeneutica», ma anche in altre occasioni Lei ha fatto notare alcuni aspetti problematici del pensiero di Ratzinger. Ci riferiamo in particolare a una sua recente dichiarazione su LifeSiteNews in cui ha sostenuto: «Sarebbe però auspicabile che egli, soprattutto in considerazione del Giudizio Divino che lo attende, si allontani definitivamente da quelle posizioni teologicamente errate – mi riferisco in particolare a quelle dell’Introduzione al cristianesimo – che sono ancora oggi diffuse in università e seminari che si vantano di chiamarsi cattolici». Le chiediamo dunque: se dovesse sintetizzare il Suo giudizio sul pensiero del teologo bavarese cosa direbbe ai nostri lettori? Inoltre: Lei ha avuto la possibilità di operare a stretto contatto con Benedetto XVI, cosa può dirci di lui sul piano umano? Non è – sia chiaro – una domanda su aspetti riservati, ma sulla personalità che ha potuto conoscere da vicino.

CMV: I punti che avete elencato, pur con alcune sfumature, mi trovano purtroppo concorde, non senza un vivo dolore. Molti atti di governo di Benedetto XVI sono in linea con l’ideologia conciliare, della quale il teologo Ratzinger è da sempre strenuo e convinto sostenitore. La sua impostazione filosofica hegeliana lo ha portato ad applicare lo schema tesi-antitesi-sintesi in ambito cattolico, ad esempio considerando i documenti del Vaticano II (tesi) e gli eccessi del postconcilio (antitesi) componibili nella famosa “ermeneutica della continuità” (sintesi); né fa eccezione l’invenzione del Papato emerito, dove tra l’essere Papa (tesi) e il non esserlo più (antitesi) si è scelto il compromesso del rimanerlo solo in parte (sintesi). La stessa mens ha determinato quanto è avvenuto per la liberalizzazione della liturgia tradizionale, affiancata al suo contraltare conciliare nel tentativo di non scontentare né i fautori della rivoluzione liturgica né i difensori del venerando rito tridentino.
Il problema è quindi di matrice intellettuale, ideologica: esso emerge ogniqualvolta il teologo bavarese ha voluto dare una soluzione alla crisi che affligge la Chiesa: in tutte queste occasioni la sua formazione accademica influenzata dal pensiero di Hegel ha creduto di poter mettere insieme gli opposti. Non ho motivo di dubitare che Benedetto XVI abbia voluto a suo modo compiere un gesto di conciliazione con le istanze del tradizionalismo cattolico; né che egli non sia consapevole della situazione disastrosa in cui versa il corpo ecclesiale; ma l’unico modo per restaurare la Chiesa è seguendo il Vangelo, con uno sguardo soprannaturale e con la consapevolezza che Bene e Male, per decreto di Dio, non possono esser messi insieme in un fantomatico juste milieu, ma che sono e rimangono inconciliabili e opposti, e che servendo due padroni si finisce per scontentare entrambi.
Per quanto riguarda la mia conoscenza diretta di Benedetto XVI, posso dire che negli anni del suo Pontificato in cui ho servito la Chiesa in Segreteria di Stato, al Governatorato e come Nunzio negli Stati Uniti, mi sono fatto l’idea che egli si sia circondato di collaboratori inadeguati, inaffidabili o anche corrotti, che hanno ampiamente approfittato della “mitezza” del suo carattere e di quella che potrebbe essere considerata come una certa sindrome di Stoccolma soprattutto nei confronti del Card. Bertone e del suo Segretario particolare.

RS: In alcuni articoli apparsi su CatholicFamilyNews.com si faceva notare come la Sua posizione sulla situazione della Chiesa sia prossima a quella di Mons. Bernard Tissier de Mallerais, uno dei quattro Vescovi consacrati da Mons. Lefebvre. Dalla stessa fonte si riportava una Sua frase secondo cui lo stesso Mons. Lefevbre sarebbe un confessore esemplare della Fede. Alla luce anche della ferma critica al Vaticano II e, d’altro canto, della Sua non adesione al sedevacantismo, verrebbe da ipotizzare che l’impostazione che Lei promuove sia molto vicina a quella della Fraternità Sacerdotale San Pio X. Può dirci qualcosa in proposito?

CMV: Da molte parti del mondo cattolico, specialmente nei milieux conservatori, si sente affermare che Benedetto XVI sarebbe il vero Papa e che Bergoglio sarebbe un antipapa. Questa opinione si basa da un lato sulla convinzione che la sua Rinunzia sia invalida (per il modo in cui è stata formulata, per le pressioni esercitate da forze esterne o per la distinzione tra munus ministerium papale) e dall’altro sul fatto che un gruppo di Cardinali progressisti avrebbe cercato di far eleggere al Conclave del 2013 un proprio candidato, in violazione delle norme della Costituzione Apostolica Universi Dominici Gregis di Giovanni Paolo II. Aldilà della plausibilità di queste argomentazioni, che se confermate potrebbero invalidare l’elezione di Bergoglio, questo problema può esser risolto solo dall’Autorità suprema della Chiesa, quando la Provvidenza si degnerà di porre fine a questa situazione di gravissima confusione.

RS: Parliamo del futuro. In questi anni burrascosi Lei ha inteso servire la Chiesa con interventi scritti, con video, partecipando a iniziative e con tutte le attività che chi La segue ben conosce. Per il domani intravede la possibilità che la Sua missione episcopale prenda forme diverse? Pensa a qualche attività specifica? Con una più marcata presenza pubblica?

CMV: La mia età, le vicissitudini di questi ultimi anni e la situazione della Chiesa non mi permettono di fare progetti, come peraltro non ho mai fatto in tutta la mia vita. Lascio che la Provvidenza disponga di me come crede, mostrandomi di volta in volta la via che devo percorrere. Spero di tutto cuore che la mia testimonianza, specialmente per quanto riguarda la comprensione dell’inganno che si sta consumando nella Chiesa, permetta a Cardinali, a miei Confratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio di aprire gli occhi, in un gesto di umiltà, di coraggio e di confidenza nella potenza di Dio. Non possiamo continuare a difendere la causa e l’origine della crisi presente solo perché non vogliamo riconoscere di essere stati tratti in inganno: questa ostinazione nell’errore sarebbe una colpa peggiore dell’errore stesso.

RS: La ringraziamo per aver risposto alle nostre domande: speriamo non manchino occasioni per confronti futuri.

11 Marzo 2021
Feria Quinta infra Hebdomadam III in Quadragesima

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(*) INTERVISTA SU RADIOSPADAhttps://www.radiospada.org/2021/03/%f0%9f%94%b4-intervista-bomba-di-mons-vigano-in-esclusiva-per-radio-spada/?fbclid=IwAR1TjfIBBAoC2EIO3oB63WUFAf8eipLUILUmCtoep1kWc6umw1Wg-7NJtxQ

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LA RICERCA DELLA VERA FEDE - THE SEARCH OF TRUE FAITH

Oggi vi racconterò di un sacerdote venuto dalla scienza. Today I ‘ll tell you about a priest come from science.

(Still pending, don’t worry!)

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LA RICERCA DELLA VERA FEDE - THE SEARCH OF TRUE FAITH

“QUATTRO E QUATTRO, OTTO; SCARICA IL BOTTO. UN BILANCIO DEL FALSO GOVERNO BERGOGLIANO”.

COMMENTO ALLA CATECHESI DI DON MINUTELLA

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Ieri e’ stato l’anniversario del fatidico 13 marzo 2013.

LA SCOMUNICA LATAE SENTENTIAE

JM Bergoglio e’ scomunicato e sono scomunicati i cardinali complici della congiura/complotto della Mafia di San Gallo al fine di costringere alle dimissioni Benedetto XVI ed eleggere al suo posto lo stesso Bergoglio. Che pertanto e’ diventato un falso papa.

La summenzionata multipla scomunica – si noti – e’ comminata ai membri della congiura/complotto automaticamente, cioe’ Latae Sententiae, per la loro dichiarata appartenenza al modernismo teologico e simultaneamente alla massoneria, nonche’ – separatamente – per la loro partecipazione alla congiura/complotto stessa.

ELEZIONE COMUNQUE INVALIDA

Ed elezione pertanto invalida, anche a prescindere dalla manifestamente invalida dichiarazione di rinuncia di Benedetto XVI, sia a causa della suddetta molteplice scomunica (in parte preesistente al conclave del 2013), che della violazione delle norme dello Statuto Apostolico Universi Dominicis Gregis relative all’elezione del nuovo romano pontefice.

Il famoso “buonasera” di saluto del falso neo-papa e’ stato il “la” per la breve ma imbarazzante cerimonia sul balcone con alcuni dei compiaciuti co-protagonisti del conclave.

IL CARDINALE PENTITO

Tra di essi il Card. Godfried Danneels, Arcivescovo emerito di Mechelen-Brussel (Malines-Bruxelles), che solo due anni dopo (2015), avendo appreso della sua malattia terminale, con la pubblicazione delle sue memorie (1) si sarebbe “scaricato la coscienza”, confessando la sua appartenenza alla congiura della Sankt Gallen Mafia (o Mafia di San Gallo). Si tratta, come oramai noto a tutti, della congiura ordita da cardinali massoni, sostenitori della lobby gay e della radicale riforma in senso modernista-massonico-luterano della chiesa (2,3).

Riforma che JM Bergoglio ha provveduto ad attuare puntualmente dal 2013 ad oggi e che ha segnato la sventura della chiesa cattolica portando all’avvento dell’apostasia generalizzata e dell’abominazione della desolazione, ormai di fatto attuata (dalla Pasqua 2020 i riti solenni sono di fatto aboliti, con il miserabile spettacolo fornito da Bergoglio solo sotto la pioggia di P.za S. Pietro!).

ERMENEUTICA DELLA CONTINUITA’?

Non c’e’ (e non ci puo’ essere) quindi alcun”continuum” con il magistero dei precedenti papi, Benedetto XVI e Giovanni Paolo II.

Il tentativo di attribuire una sorta di “continuita” (la cosiddetta “ermeneutica della continuita’”) tra Bergoglio e i suoi predecessori e’ pertanto destinato al fallimento. In particolare, sebbene Benedetto XVI sia stato e sia tuttora seguace della filosofia Illuminista (4), questo non significa affatto che il suo pensiero abbia nulla a che fare con il Modernismo Teologico (tesi di Mons. Vigano’).

Il papa regnante e’ e resta quindi soltanto Benedetto XVI.

LA QUESTIONE DELLA PRIORITA

Sebbene sia sempre la Provvidenza ad agire nella storia (come l’Apocalisse di San Giovanni docet), a chi dovrebbe andare realmente riconosciuta la priorita’ di avere per primo individuato e segnalato il problema della illegittimita’ nell’elezione di Bergoglio?

Secondo il giornalista vaticanista Antonio Socci (6) il primo a sollevare la questione, pochi giorni dopo la nomina di Bergoglio (e ancor prima del suo insediamento), sarebbe stato don Stefano Violi (5).

Successivamente, nel 2014 il tema e’ stato ripreso e approfondito dallo stesso Socci (6) (ved. anche il successivo libro (7)). Da notare che Socci si appella esplicitamente allo studio precedente di Stefano Violi (5).

Al riguardo e’ da notare che lo stesso Socci, citando l’articolo 69 della Costituzione apostolica Universi Dominici gregis, aveva rilevato due distinte violazioni avvenute per la scelta del papa dopo la rinuncia di Benedetto XVI. La prima violazione delle norme riguarda l’annullamento di una votazione che doveva essere ritenuta valida e scrutinata. Il giornalista si riferiva al fatto che, nello spoglio delle schede, ne fu conteggiata una in più (considerata bianca) che era attaccata a un’altra scheda contenente un voto espresso. La seconda violazione riguarda le votazioni del 13 marzo 2013. Quel giorno si procedette in conclave con una votazione in più, ossia per un totale di cinque votazioni, mentre la Costituzione apostolica Universi Dominici gregis ne prevede solo quattro. Bergoglio fu eletto alla quinta elezione che non è prevista dalla Costituzione. Per Socci, se è vero che il conclave non ha assolutamente il potere di modificare le regole, nemmeno votando all’unanimità, l’elezione al papato di Bergoglio (cf. pp. 110-111) semplicemente non è mai esistita. (p. 111).

Ma lo stesso Socci aveva posto anche il problema del Munus nella sua Declaratio (8) e rilevato il mistero della rinuncia di Benedetto XVI.

Socci al riguardo s’appella alla regolarità canonica sancita dall’articolo 87 della Costituzione Universi Dominici gregis. L’invalidità dell’elezione di Bergoglio è legata anche a un altro cavillo canonico: l’11 febbraio 2013, papa Benedetto, così come si è espresso nel testo latino della sua dichiarazione, ha lasciato solo il potere di governo e di comando sulla Chiesa cattolica (il ministero petrino), ma non ha rinunciato al munus, ossia all’ufficio papale che ha ricevuto in quanto non è revocabile. Ratzinger avrebbe rinunciato soltanto all’esecuzione concreta del ministero petrino ma non all’ufficio in sé di papa (cf. p. 96). È così, infatti, per Socci, che si giustifica il modo di vestire di papa Benedetto: indossando l’abito bianco, egli resta papa!

Da notare che Socci insiste nel ritenere che Benedetto XVI – nella sua Declaratio (8) – dichiari di rinunciare al ministerium e non al munus del papato secondo il dettato del can. 332 paragrafo secondo.

Infatti, nella dichiarazione, Benedetto XVI rende pubblico di rinunciare all’esercizio del ministero (ministerium) petrino e non all’incarico (munus) petrino (cf. pp. 93-96). In altri termini, Ratzinger avrebbe rinunciato all’esercizio attivo del munus ma non al munus petrino in sé.

Da menzionare anche da parte dello stesso Socci:

1. la citazione della profezia dell’allora Mons. Ratzinger riguardo al Piccolo Resto.

2. l’identificazione/associazione di Bergoglio con l’anticristo.

3. il totalismo soft di Bergoglio

4. Il suo programma globalista, ecologico e ambientalista.

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(*) 13 MARZO, ORE 21:15 CANALE YOUTUBE DI RADIO DOMINA NOSTRA: https://m.youtube.com/channel/UCzu-HxEny_ACGiCMJJcVc1A#menu

(1) Godfried Danneels Biographie (Nederlandse taal), Jürgen Mettepenningen e Karim Schelkens | (1 ott. 2015)

(2) REFUTAZIONE RAZIONALE DEI MODERNISTI: IL CASO DI CARLO MARIA MARTINI, Max Tex
https://www.proselitismodellascienza.it/2021/03/04/refutazione-razionale-dei-modernistiil-caso-di-carlo-maria-martini/
(3) REFUTAZIONE RAZIONALE DEI MODERNISTI: IL CASO DI GODFRIED DANNEELS, Max Tex
https://www.proselitismodellascienza.it/2021/03/04/refutazione-razionale-dei-modernistiil-caso-di-godfried-danneels/
(4) LA FILOSOFIA DI RATZINGER E’ QUELLA ILLUMINISTA, Max Tex
https://www.proselitismodellascienza.it/2021/03/13/la-filosofia-di-ratzinger/
(5) Don Stefano Violi, ” La rinuncia di Benedetto XVI. Tra storia, diritto e coscienza”, dalla “Rivista Teologica di Lugano” XVIII, 2 / 2013. L’autore è sacerdote della diocesi di Modena e insegna diritto canonico nella Facoltà Teologica dell’Emilia Romagna e nella Facoltà di Teologia di Lugano di Stefano Violi,
https://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1350913.html
(6) A. Socci “Non e’ Francesco. La chiesa nella grande tempesta.“, Mondadori Ed. (2014).
(7) A. Socci “Il Dio Mercato, La chiesa e l’anticristo”, Rizzoli Ed. (2019).
(8) LA DECLARATIO (volutamente piena di errori!) DI PPBXVI, Max Tex
https://www.proselitismodellascienza.it/2021/03/04/la-declaratio-piena-di-errori-di-ppbxvi/

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MANIPOLAZIONI IN CORSO DEL CODICE GENETICO UMANO(*)

Il Dr. Tal Zaks, Responsabile della “sezione medica” di Moderna Inc., ha spiegato in un “TED Talk” [serie di conferenze gestite dall’organizzazione non-profit statunitense Sapling Foundation] il funzionamento dei vaccini mRNAprodotti dalle società farmaceutiche.

“Stiamo manipolando i codici della vita”.

“In ogni cellula c’è questa cosa, chiamata RNA o mRNA, che trasmette informazioni fondamentali: dal DNA dei nostri geni alle proteine (che poi è ciò di cui siamo fatti). 

Questo è ciò che determina il comportamento delle cellule. Quindi, pensiamo alla cellula come a un ‘sistema operativo’.

Di conseguenza, se possiamo cambiare questo sistema operativo, introducendo un codice o addirittura sostituendolo, potremmo profondamente modificare tutto, dall’influenza al cancro”.https://www.youtube.com/embed/FU-cqTNQhMM?feature=oembed

Quindi non e’ affatto vero che i vaccini a mRNA non alterano il codice genetico.

Zaks sottolinea che già dal 2017 Moderna sta lavorando a un vaccino MRNA: 

“Immaginatevi se, invece d’iniettare nel paziente la proteina del virus, gli dessimo le istruzioni per assemblare quella proteina, indicando alla cellula il modo con cui creare il proprio vaccino”.

Zaks continua dicendo che ci sono voluti decenni per sequenziare il genoma umano, cosa che avvenne nel 2003, “E ora possiamo farlo in una settimana”.

Rileva, poi, i piani di Moderna per creare vaccini contro diversi tipi di cancro, in modo da adattarli alle esigenze dei singoli pazienti, “perché ogni cancro è diverso dall’altro”

Paradossalmente, uno degli effetti collaterali più potenzialmente catastrofici dei vaccini mRNA è la sua interazione con le cellule cancerogene.

Secondo uno studio dello “Sloan Kettering Cancer Center” di New York, l’mRNA tende a disattivare le proteine che bloccano i tumori, il che significa che potrebbe accelerare la crescita di cellule cancerogene.

Sia i vaccini di Moderna che quelli di Pfizer sono sperimentali. 

L’FDA ha autorizzato questi vaccini secondo le direttive della “Emergency Use Authorization [EUA]”, i cui effetti saranno testati fino al 2023.

Nonostante questo, il Governo, i media e le multinazionali stanno tutti dicendo che questi farmaci sono sicuri.

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(*) FONTE:

Uno scienziato di moderna ammette : “STIAMO MANOMETTENDO I CODICI DELLA VITA .”di Benedettoxvi Nei due link sottostanti la versione scritta in italiano e video in inglesehttps://t.me/SanPioX/1229https://m.youtube.com/watch?fbclid=IwAR2nr-orOzzkSvdAWxkk2Bk1J5Y5Bh1LmR_t2TvdcBo3e2sK1_9zueoxOU0&v=FU-cqTNQhMM&feature=youtu.be
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ANALISI BEN FATTA

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1.TUTTI GLI INTERVENTI SCRITTI E A VOCE DI BENEDETTO XVI SULLE SUE DIMISSIONI

2. COMMENTI GIORNALISTICI

3. UNA CRONACA DETTAGLIATA DI TUTTE LE “BERGOGLIATE”

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ORARI RADIO DOMINA NOSTRA

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OGGI 12 MARZO SAN GREGORIO PAPA

ORE 7:15 PREGHIERA DEL MATTINO E RECITA DEL I SANTO ROSARIO MISTERI DELLA GIOIA

ORE 9:00 “SANTI E CAFFE”. RUBRICA MATTUTINA DI DON MINUTELLA

ORE 12:15 : II SANTO ROSARIO MISTERI DEL DOLORE

ORE 15:00 : PREGHIERA DI RIPARAZIONE ORE 16:00 “TRATTATO SULL’ ERESIA NEOARIANA”.LETTURA DEI TESTI DI DON MINUTELLA

ORE 17:30 SANTA MESSA CELEBRATA DA DON MINUTELLA DALLA CAPPELLA DOMINA NOSTRA

ORE 19:00 III SANTO ROSARIO MISTERI DELLA GLORIA E TERZO GIORNO DELLA NOVENA A SAN GIUSEPPE

ORE 21:15 PIO ESERCIZIO DELLA VIA CRUCIS GUIDATO DA DON MINUTELLA https://www.facebook.com/search/top?q=radio%20domina%20nostra%20oggi

ORE 23:00 ROSARIO DELLO SPIRITO SANTO DALLA CAPPELLA DOMINA NOSTRA

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ARTICOLO DEL 2014 – PPBXVI: la mia rinuncia è valida, assurdo fare speculazioni!

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DALL’ARTICOLO SULLA STAMPA DI ANDREA TORNIELLI DEL 27 FEBBRAIO 2014: INTERVISTA A BENEDETTO XVI (1) (notizia dal sito FromRome di Fra Alexis)

BENEDETTO XVI RISPONDEREBBE COSI’ UNA UNA LETTERA/INTERVISTA AD ANDREA TORNIELLI: IL NOSTRO VATICANISTA GLI AVEVA INVIATO ALCUNE DOMANDE A PROPOSITO DI PRESUNTE PRESSIONI E COMPLOTTI CHE AVREBBERO PROVOCATO LE DIMISSIONI

Ecco il testo della risposta data per iscritto da PPBXVI:

«Non c’è il minimo dubbio circa la validità della mia rinuncia al ministero petrino» e le «speculazioni» in proposito sono «semplicemente assurde». Joseph Ratzinger non è stato costretto a dimettersi, non l’ha fatto a seguito di pressioni o complotti: la sua rinuncia è valida e oggi nella Chiesa non esiste alcuna «diarchia», nessun doppio governo. C’è un Papa regnante nel pieno delle sue funzioni, Francesco, e un emerito che ha come «unico e ultimo scopo» delle sue giornate quello di pregare per il suo successore.

Dal monastero «Mater Ecclesiae» dentro le mura vaticane, il Papa emerito Benedetto XVI ha preso carta e penna per stroncare le interpretazioni sul suo storico gesto di un anno fa, rilanciate da diversi media e sul web in occasione del primo anniversario della rinuncia. Lo ha fatto rispondendo personalmente a una lettera con alcune domande che gli avevamo inviato nei giorni scorsi, dopo aver letto alcuni commenti sulla stampa italiana e internazionale riguardanti le sue dimissioni. In modo sintetico ma precisissimo, Ratzinger ha risposto, smentendo i presunti retroscena segreti della rinuncia e invitando a non caricare di significati impropri alcune scelte da lui compiute, come quella di mantenere l’abito bianco anche dopo aver lasciato il ministero di vescovo di Roma.

A QUESTO PUNTO URGE EVIDENTEMENTE UNA VERIFICA DELLA CORRISPONDENZA ORIGINALE!

Si tratta infatti di verificarne l’attendibilita’ e soprattutto le precise parole. Se la dichiarazione che il nuovo papa e Francesco fosse autentica si aprirebbe una ardua interpretazione e sarebbe indispensabile addirittura rivedere il nostro intero giudizio su PPBXVI!

Le nostre prove non sono evidentemente finite ed anzi si intensificano! Possiamo comprendere dunque perche’ i santi ci invidiano e avrebbero voluto vivere al posto nostro questi tempi cosi’ ardui per la chiesa!

PREPARIAMOCI DUNQUE ALLA BATTAGLIA!

La nostra fede in Gesu’ sia come roccia affinche’ possiamo rispettare fino in fondo le nostre promesse a Maria Vergine!

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(1) Ratzinger: la mia rinuncia è valida, assurdo fare speculazioni, LA STAMPA (vatican insider), ANDREA TORNIELLIPUBBLICATO IL 27 Febbraio 2014 ULTIMA MODIFICA 11 Luglio 2019 17:07
https://www.lastampa.it/vatican-insider/it/2014/02/27/news/ratzinger-la-mia-rinuncia-e-valida-assurdo-fare-speculazioni-1.35929571